Ciò che stupisce dei paesi sul lago sono le loro tradizioni. Storie di pescatori, botteghe e gente di paese si intrecciano tra di loro, corrono su sentieri paralleli destinati a convergere in uno solo e formare un passato ricco di tradizioni. Porto Valtravaglia, con le sue frazioni abbracciate tra lago e montagna, è uno di questi soggetti in grado di affascinare qualsiasi genere di pubblico con le proprie storie.
L’eremita di Ligurno, per esempio, era un bell’uomo. Alto, occhi chiari e lunga barba grigia a incorniciare il volto. Intratteneva con affabilità chiunque andasse a trovarlo, attirato dal fascino della sua scelta di vita. Una capanna di legni intrecciati, un piccolo orto ed un pollaio con un gallo e alcune galline era tutto ciò che possedeva. Scendeva in paese con la gerla sulle spalle per la spesa e racimolare qualche denaro. Era, infatti, abile a cacciare gli animali del bosco, soprattutto le volpi, con trappole di ogni genere, per poi venderne alcune delle pelli che stendeva prima a seccare al sole. Tutti in paese lo conoscevano e, anche se il suo vero nome era Domenico, rimase per anni, e ancora oggi è ricordato così: “ul Vulpàt”.
Come la sua, si ricordano anche molte altre storie, tra cui quella de carretto del gelataio del “Peto” di Porto che, trainato dall’asino Battista, circolava in valle ogni domenica per il piacere di grandi e piccini e quella di Bernardo, il “picasàss” di Domo, che dedicò tutta la sua vita all’arte del suo lavoro.
Anche la pesca sulle rive del lago è una delle tradizioni rimaste tutt’oggi tra gli abitanti del Comune. Oltre a costituire, in passato, una grande risorsa economica e alimentare, rappresentava per i cittadini anche un momento di ritrovo e di simbiosi con la natura: la luce del mattino, il colore del lago, il canto degli uccelli e il rumore delle onde. I momenti migliori per la pesca erano il mattino e la sera. Si usciva in due con la barca, uno remava e l’altro con movimenti regolari muoveva la tirlindana, un filo di seta ritorta di differente peso e lunghezza a seconda del tipo di pesca. Oggi la tecnica è cambiata, anche se alcuni pescatori ritengono più efficace ed adottano ancora il “vecchio stile”. Il luccio, il pesce persico e le alborelle sono le specie più presenti nel Lago Maggiore. Una volta pescati, puliti e appesi a fili stesi nei solai arieggiati e ombrosi, era una lotta accaparrarsi “i tòll”, le latte svuotate dal tonno che le botteghe del paese vendevano sciolte e che servivano per la conservazione. Ogni pescatore professionista aveva la sua riva, metà del lago ai lombardi e metà ai piemontesi. Gli uomini del lago conoscevano i venti e fiutavano il cattivo tempo. Una lotta continua tra astuzia e abilità muoveva l’attività della pesca, che ad oggi sembra aver conservato molte delle sue vecchie tradizioni.