Noi volontari di Expo? Un’esperienza straordinaria
«Vivere Expo non vuole dire semplicemente visitarlo, ma diventarne parte. È questo che i volontari hanno provato: essere parte di un enorme meccanismo che non è in grado di funzionare se ogni singola parte non assolve alla propria funzione». È così che Ilaria Villani, studentessa varesina e giovane cacciatrice di stupore ed ispirazione per il futuro, ha definito la propria esperienza come volontaria all’Esposizione Milanese.
«Ho lavorato per alcune settimane presso il Padiglione dell’Unione Europea; io e diversi altri ragazzi all’incirca della mia età. Parte delle responsabilità di quel padiglione era sulle nostre spalle. Non funzionava se ciascuno non era al proprio posto. La nostra giornata cominciava alle 09.00. fino alle 13.00 (e strutturata secondo turni). Ci occupavamo di un “task” differente ogni giorno, a rotazione. A noi era destinato il compito di accogliere e intrattenere le persone all’interno dello spazio europeo con nozioni e curiosità di vario genere, primo fra tutti, ovviamente, il ruolo e i progetti dell’Europa rispetto ai temi di Expo Milano 2015. Anche se nel nostro piccolo, mi piace pensare che anche noi volontari siamo stati un po’ di quella cosiddetta “energia per la vita”; il grande impegno che ciascuno di noi ha dimostrato nello svolgere il proprio compito è stato l’ingrediente magico che per sei lunghi mesi ha fatto girare quella gigante macchina. Non parlo solo del mio padiglione, ma di tutti gli spazi espositivi e di tutta Expo». Questa, dunque, la più grande soddisfazione provata da molti giovani volontari al termine della propria esperienza. Essere diventato parte di un solo ed enorme organismo ha così premiato “umanamente” chi sin dall’inizio ha creduto nel progetto e ha deciso di inviare la propria candidatura da “addetto ai lavori”.
«Con tutti quei ragazzi si è poi creato un grande legame di amicizia che è destinato a durare nel tempo e a conservare i ricordi dei bei momenti vissuti insieme. Volendo guardare anche al lato pratico, è stata un’esperienza molto utile e “gustosa”. Utile perché ho avuto l’occasione di rispolverare l’inglese e praticarlo sul posto di lavoro, dove ogni giorno giungeva gente da ogni angolo del mondo. Gustosa in realtà non ha bisogno di spiegazioni. Tutti i piatti e le specialità presenti portavano con sé la propria cultura e la propria tradizione. Anche sapori molto diversi e lontani rispetto ai nostri sono sempre stati in grado di sorprendermi».
Non solo: anche i padiglioni, ricorda Ilaria, la loro bellezza e la loro architettura hanno arricchito e portato in Italia un pezzetto della propria terra. Soprattutto i padiglioni dei paesi in via di sviluppo, che hanno saputo raccontare le proprie sfide e la propria realtà. E Milano, proprio nei mesi in cui è diventata ombelico e punto di contatto con il mondo, ha dimostrato di sapere e volerli accogliere tutti.